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domenica 7 dicembre 2014

Una panda in meno, una marcia in più

Rome wasn't built in a day. E anche l'operazione Mondo di Mezzo non sarà stata da meno. Oltre mille pagine di intercettazioni e ricostruzioni di fatti che, c'è da dirlo, non vanno aldilà del già visto e rivisto nella politica degli ultimi vent'anni. Giuliano Ferrara ha detto sul Foglio che secondo lui si tratta di una mafietta, di una cupolina de noi artri, altro che mafia siciliana. Opinione del tutto personale, ma a quanto dice il Procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, gli elementi di stampo mafioso ci sono tutti. Certo non c'erano famiglie, non c'erano clan, non c'era traffico di droga, ma qualcosa d'importante e tentacolare stava nascendo, e da parecchi anni ormai, tanto che gli effetti devastanti sulla città erano (e sono ancora) evidenti persino a un cieco. Ci sono angoli di Roma che permettono di tornare indietro nel tempo alla New York anni '80. Il Bronx di allora è molto più vicino di quanto si creda. Il livello di sporcizia della città è tale che pure i topi stanno venendo alla luce per chiedere aiuto. "Ué ma dove siamo finiti?" si saranno chiesti "Già torniamocene giù che questi stanno messi peggio di noi." 

Scene di degrado e sciatteria sono entrati negli occhi dei cittadini tanto da assuefarne i loro stessi giudizi. La normalità è mutata così lentamente che non è più possibile riconoscere il senso della legalità, dal come si parcheggia un auto a come si procede per l'assegnazione di un appalto. La presenza di ambulanti in ogni dove è lecita poiché muniti di permesso, ma la leicità sul come vengano dati questi ultimi non è nemmeno lontanamente ipotizzata.

Settimana storica per Roma. Settimana dalla quale Marino, checché ne dicano quelli del Movimento 5 Stelle, ne esce più forte di prima e con una Panda di meno. Speriamo soltanto che quella forza dovuta all'estraneità dei fatti non confermi poi la sua estraneità ai problemi di Roma. Ce ne sono ancora tanti, anche se adesso possiamo credere che la strada sia più in discesa di quanto lo fosse prima di chiudere Malagrotta. 





mercoledì 26 novembre 2014

Il computer che impara a fare il critico d'arte

Essere un genio è quasi sempre significato non essere capiti. Colui che osserva un'opera d'arte o che legge un libro di successo rimane basito per un tempo necessario a comprendere che sì, quest'artista è diverso, questo quadro o questo libro mi stanno dicendo cose interessanti. Magari stanno parlando di me.

E con tutta probabilità ci vorrà del tempo per assimilare il vero significato dell'opera, perché non si dispone ancora delle conoscenze e delle esperienze necessarie a riconoscere come vero quanto ci sta di fronte, sia questo un dipinto quanto piuttosto un libro. Ad un livello ancora superficiale, l'opera del genio giunge all'uomo e da una parte di questo è certamente riconosciuta, ma a livello più profondo mancano ancora quelle associazioni necessarie a comprendere ciò che il genio ha visto e che ci vuole raccontare. E ciò che manca all'uomo per riconoscere un autore o una corrente artistica, è oggi oggetto di studio da parte dei ricercatori.

"Così, mentre ero in questo museo, ho pensato che sarebbe stato bello poter istruire un computer a riconoscere il nome di un pittore soltanto da un suo quadro, ma non un quadro conosciuto, bensì un quadro inedito o comunque sconosciuto al computer."

A parlare è il Dr.Ahmed Elgammal, professore associato nel Dipartimento di Computer Science alla Rutgers University del New Jersey.

"Parliamo di vero e proprio apprendimento delle macchine, machine learning, il nostro algoritmo istruisce il computer a riconoscere le opere d'arte. Più esattamente, lo scopo della nostra ricerca è stato quello di istruire la macchina a capire le influenze artistiche tra un autore e l'altro nel campo della pittura."

a sinistra Frederic Bazille - Bazille's Studio, 1870
a destra Norman Rockwell - Shuffleton's Barber Shop, 1950

Il team del prof.Elgammal ha lavorato per tre anni a questo progetto. Siamo nel campo della Computer Vision, parliamo dunque di algoritmi in grado di riconoscere oggetti, volti e persone nelle immagini, esattamente come avviene per le macchine fotografiche di oggi o sui software di Google e Facebook nella fase di caricamento di una foto.

Dice il prof.Elgammal che un quadro può essere rappresentato in genere da sette elementi; spazio, forma, sagoma, colore, tonalità, linee e struttura. All'inizio della loro ricerca però si sono accorti che questi parametri non erano sufficienti, così hanno dovuto introdurne altri come il riconoscimento del movimento, dell'unità, del contrasto e della proporzione. In aggiunta hanno considerato anche l'argomento stesso del quadro, gli oggetti rappresentati, il tipo di pennellate e il materiale. Per finire, il contesto storico.

"Attualmente esistono alcuni database di quadri nel mondo, altri ancora sono invece dei progetti condivisi e in continua crescita. La catalogazione è possibile in questo senso, qualora ciascuno di noi contribuisca ad arricchire il database. Ma fare in modo che questo lavoro venga svolto da una macchina rende le cose più interessanti. E' interessante perché la macchina non solo può riconoscere lo stile di un pittore, ma può riconoscere anche i pittori passati che lo hanno influenzato, prerogativa esclusiva di un critico d'arte. Capisci però che i dettagli di un quadro possono essere davvero tanti e possono sfuggire persino a uno studioso di storia dell'arte."

Ho chiesto al professore di parlarci a grandi linee di come il suo team fosse arrivato all'algoritmo.

"All'inizio del nostro studio abbiamo dovuto capire quale fosse la migliore rappresentazione matematica di un quadro per stabilirne le influenze artistiche. Poi, abbiamo preso in considerazione sia la somiglianza tra i quadri che quella tra gli artisti. Questi tre elementi sono stati applicati al nostro personale dataset di 1710 dipinti ad alta risoluzione. Parliamo di opere che vanno dal 1412 al 1996 rappresentando 13 stili diversi di 66 artisti. Nel nostro dataset abbiamo una media di 132 quadri per stile e passiamo da un massimo di 140 opere di Paul Cézanne, fino ad autori con un'opera sola come Hans Hoffmann."







Gli stili che il team del professore ha preso in esame sono l'espressionismo, l'impressionismo, il rinascimento (336 quadri), il periodo del romanticismo, il cubismo, il barocco, il surrealismo, il post impressionismo, il modernismo americano (23 quadri), il simbolismo, la pop art, il neoclassicismo e l'arte astratta.



sopra Joan Mirò La fattoria, 1922

stessi scenari, stessi oggetti, ma stili diversi
Mirò risulta sia stato influenzato da Van Gogh


"Quello che abbiamo dovuto fare - continua il professore - è stato innanzitutto capire cosa altri scienziati avessero prodotto in merito a una simile questione. Ci siamo basati sulle ricerche di Thomas Lombardi per il riconoscimento di un pittore dai diversi tipi di pennellate. Abbiamo studiato il modello Bag of Words usato per esempio da Maria Khan per capire di chi fosse un quadro su una scelta possibile di otto pittori. Gli studi di Gustavo Carneiro poi ci sono stati d'aiuto per comprendere quale fosse il modo migliore per identificare le somiglianze tra due quadri. Insomma, la Computer Vision sta facendo tanto e da tanto tempo, ma quello a cui noi abbiamo puntato in questi tre anni non è stato affrontato da nessuno. Scoprire quale artista abbia influenzato un determinato pittore caricando l'immagine di un quadro nel computer, era ed è scienza di frontiera nel campo dell'Intelligenza Artificiale."

"E immagino che questo possa tramutarsi anche in un business."

"Sì, in effetti siamo stati già contattati da un paio di società, ma è stata più che altro una chiacchierata sul modello in sé. Non escludo però che in futuro possano uscire delle applicazioni in quest'ambito che usino il nostro algoritmo. Pensiamo già a quelle esistenti su smartphone per il riconoscimento di opere utilizzate all'interno dei musei o di oggetti, come fa ad esempio l'applicazione Google Goggles. Forse le nostre applicazioni saranno in grado di raccontare chi siano i maggiori contributori del pittore che si ha davanti."

"E che risultati avete ottenuto?"

"Che Donatello ad esempio, è stato influenzato da Mantegna e dal fiammingo Van Eyck. Ma è vero pure che Mantegna sia stato a sua volta influenzato da Donatello. Caravaggio invece da Rubens, da Raffaello e da Leonardo. Poi è uscito che Warhol avesse alcune influenze di Degas Rubens di Velasquez. Sempre il vostro Mantegna sembra aver influenzato anche Munch e Klimt. Tutti questi risultati sono venuti fuori grazie al livello di astrazione semantica del nostro modello. Il metodo infatti che ci dava i risultati più affidabili è chiamato "classeme". E' un modello che codifica i quadri prendendo in considerazione campi semantici imparati dalle immagini su internet.

Bag of Words model in computer vision


"Una volta prodotto il nostro personale e unico vettore che rappresentasse ogni singolo quadro, abbiamo applicato Euclide per trovare le somiglianze tra un dipinto e l'altro.  A questo punto l'accuratezza dei risultati è stata soddisfacente. Abbiamo prodotto una serie di grafici raggruppando gli artisti che più si sono influenzati tra loro. La concentrazione di più pittori in un'area rappresenta un movimento, una corrente, con dei maestri a guida di altri artisti."

mappa degli artisti


"Prof.Elgammal, considerando lo stato attuale della ricerca, lei crede sia possibile che questi algoritmi arrivino a dirci se in una persona ci sia del genio o se un bambino sarà un genio in un determinato campo che magari non conosce ancora?"

"Questa è un'ottima domanda." Il professore ci pensa un pò su. "Devo dire che sarebbe un campo di ricerca molto interessante, ma non è così facile dare una risposta. Certamente se parliamo della genialità in un campo specifico le possibilità aumentano. Ad un livello più generico forse proverei a lavorare sull'immagine stessa del cervello."

Concludo la mia intervista con il Dr.Elgammal chiedendogli se dipinga o se abbia una qualche passione in campo artistico.

"Beh, se avessi del tempo per farlo, mi piacerebbe disegnare sì. Ma mi consolo del fatto che questi studi vanno a incontrare quella cultura umanistica che negli anni '80 volevo approfondire. Sono nato ad Alessandria d'Egitto e da giovane volevo fare l'archeologo. Poi, poco prima di iscrivermi all'Università, ho scoperto i calcolatori e ho cominciato a programmare. E' nata così una passione e quella passione sta trovando adesso ampio spazio in un settore decisamente umanistico come la pittura. Come vede, la distanza che separa due campi quali arte e computer è in fondo inversamente proporzionale alla nostra stessa curiosità. Io sono uno dei tanti esempi che quest'unione sia veramente possibile."



(FINE PRIMA PARTE)
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martedì 18 novembre 2014

Tor Sapienza, Borghezio batte i Cinque Stelle

Da Mario Borghezio a Paola Taverna, passando per la Meloni fino a Pietrangelo Buttafuoco che timidamente confessa alla trasmissione di Corrado Formigli, di essere stato anche lui a Tor Sapienza "a vedere". Un pò come i tre anni di militare a Cuneo menzionati da Totò, o la ben più ardua impresa di Orfeo nella sua discesa agli Inferi per far tornare in vita l'amata Euridice. Ciascuno infila come può sul proprio curriculum quest'impresa di strategia bellica; "sono stato in Iraq, in Afghanistan e a Tor Sapienza", foss'anche quest'ultimo il semplice passaggio in un auto nel deturpato quartiere romano. Alcuni di loro avranno anche saggiato il terreno, si saranno mescolati tra la gente ed avranno persino parlato al nemico, diventato improvvisamente amico e alleato per le prossime elezioni.
Borghezio cavalca benissimo la situazione di degrado che tutta la città di Roma sta vivendo da anni e col suo partito fa abilmente leva sul dissenso che i cittadini delle periferie romane nutrono nei confronti del sindaco. Sia questo Alemanno per la precedente amministrazione, sia Marino per quella attuale.

Forse gli è stato detto che il romano ha un tono di voce piuttosto alto, ma l'europarlamentare della Lega ha preso così sul serio la questione da girare ormai sempre per Roma col suo inseparabile megafono, ergendolo definitivamente a simbolo della sua campagna elettorale. Proprio come fece quest'estate davanti alla scuola multi etnica Carlo Pisacane. In quell'occasione gli diedero anche del fascista.

Ma lo stesso Segretario Salvini ha fatto molto più di una semplice propaganda "assumendo" degli inconsapevoli attivisti nelle strategie di marketing della Lega. I ragazzi che lo contestarono per la sua visita a un campo nomadi di Bologna gli fecero più pubblicità di quanto la Lega ne avesse bisogno.

Insomma, sul marketing ci sa fare più Borghezio da solo che tutta la Casaleggio Associati. E infatti le iniziative del Movimento 5 Stelle non sono piaciute alla gente, che prima contesta Grillo a Genova dopo la prima ondata di maltempo ad Ottobre e poi se la prende con la senatrice Paola Taverna in visita a Tor Sapienza; "stai qua perché t'hanno dato cinque giorni de sospensione", quasi Tor Sapienza fosse un area cantieri pubblica e la Taverna il pensionato di turno che passa il suo tempo libero a controllare che tutto nel cantiere fili liscio.

"io nun sò politico" - Paola Taverna, senatrice M5S

Entrambi, ingenuamente, avranno pensato che fosse utile presentarsi alla gente nei luoghi del disastro, ignorando forse di rappresentare chi di quel disastro fosse l'imputato. Probabilmente diranno, perché loro ascoltano o credono di ascoltare, perché loro aiutano, mentre gli altri no. E forse è pure vero, ma non è certo il modo giusto per dimostrarlo.

Grillo disse di essere nato proprio lì, in una delle strade di Genova dove si spalava il fango da giorni e la Taverna si è difesa dalle accuse di 'passerella mediatica' dicendo che la sua presenza fosse genuina perché veniva dal vicino quartiere di Quarticciolo non per fare i propri interessi, ma per risolvere i problemi.

Ma perché Borghezio ha avuto più successo della visita di Marino o delle passerelle dei Cinque Stelle? In fondo è un politico anche lui e se guardiamo al messaggio della Lega, non è poi così distante da quello del Movimento. Eppure il ricordo atavico che la Lega rappresenti il pugno duro della politica è rimasto, ed è passato indenne attraverso gli infiniti accordi tra Bossi e Berlusconi fino agli ultimi scandali del suo stesso ideatore.

Il Movimento 5 Stelle dal canto suo, nonostante abbia fatto cose buone come il Fondo di Garanzia per il Microcredito Siciliano, non ha giocato le carte giuste nell'esposizione mediatica. E allora, la giovane Taverna che visita Tor Sapienza senza farsi annunciare da nessun organo di stampa, senza farsi sfasciare la macchina da un qualche attivista, senza instaurare un vero dialogo con i cittadini e anzi rivolgendosi a loro con un intercalare che nemmeno loro immaginavano esistere, non avrà mai alcuna possibilità di vittoria contro un Borghezio che con compostezza si fa offrire un cappuccino nello stesso bar dove Marino si rifugiò per fuggire alle ire dei cittadini.


giovedì 13 novembre 2014

Beppe Grillo è in grado di fare comunicazione?

La strategia di Grillo non è mai cambiata, vuoi per mera coerenza intellettuale, vuoi per incapacità di raccogliere il consenso dell'elettorato degli indecisi, elettorato che di fatto ha consegnato a Renzi il record del 41%

Ma cosa c'è che non va nella strategia grillina? Probabilmente nulla fuorché la comunicazione.
Siamo di fronte a un esperto della parola che deve gridare a destra e a manca cosa c'è che non va negli altri o peggio, cosa va bene invece nel Movimento. L'elettorato non è sordo, forse basterebbe abbassare un poco il volume cercando di puntare più sulla sostanza che sul megafono.

E mediaticamente non aiutano nemmeno siti internet come tzetze.it che si definisce "un palinsesto dinamico originato dagli utenti, che seleziona da siti rigorosamente solo on line, le informazioni in base alla loro popolarità e attualità."

Un esempio su tutti, il 9 Novembre 2014 viene pubblicato un articolo sul Financial Times dal quale emerge un commento positivo sul leader del Movimento 5 Stelle.

FT.com - "The euro is in greater peril today than at the height of the crisis"


L'articolo è dell'editorialista Wolfgang Münchau, un giornalista tedesco che si è fatto la nomea di non essere poi così imparziale come Andrea Mollica ci racconta in questa sintesi su Giornalettismo.

Ha scritto articoli contro Monti, è contro l'austerity e dunque fondamentalmente contro la Merkel. Ma la cosa più interessante, sembra essere il sito a pagamento da lui curato di notizie e analisi di specialisti sull'eurozona. Servizio di cui possiamo intuire quantomeno l'impronta euroscettica.

Ed è proprio di euroscetticismo che parliamo se guardiamo alla politica grillina. Sul sito di Grillo è riportato infatti proprio l'articolo del FT, prontamente re-bounced dal sito tzetze e incorporato poi lateralmente sul sito del leader genovese.

da beppegrillo.it
"La stampa estera incorona Grillo"

A questo punto sarebbe interessante capire l'interpretazione grillina dell'articolo di James Politi, pubblicato sul Financial Times il 12 Novembre , tre giorni dopo.

FT.com - "Italy’s Post-it premier hopes reforms stick"


martedì 11 novembre 2014

Il Partito delle Domenica

Il Movimento 5 Stelle propose Milena Gabanelli come Presidente della Repubblica. Era l'Aprile 2013 e le votazioni interne al Movimento decretarono all'unisono la candidatura della giornalista Rai. Ad oggi, dopo quelle votazioni, il toto quirinale sembra aver perso del tutto in dignità. Già quando si vociferava la Gabanelli come possibile candidata più di qualcuno rimase perplesso. Poi quando la stessa rifiutò quasi divertita la proposta del Movimento di candidarla a futuro inquilino del Colle, si rasentò il melodramma. Melodramma che capitolò del tutto in tragedia quando la Gabanelli, un mese dopo le 'quirinarie', fece un'inchiesta sul Movimento per chiarire dove andassero a finire i soldi del blog o quanto prendesse la Casaleggio Associati dalla pubblicità del sito.

Insomma gli unici vincitori furono tutti gli altri rimasti a guardare, perché dal programma della Gabanelli ne uscì un servizio fazioso, quasi stucchevole, dal quale trapelavano soltanto due cose; che la giornalista aveva capito poco e niente di internet e grillinie che il Movimento doveva assolutamente riguardare le proprie strategie se non voleva fare nuovamente la figura del Partito della Domenica.



domenica 9 novembre 2014

Chi è Loretta?

L'otto Novembre, Loretta Lynch, è stata nominata Attorney General dal Presidente degli Stati Uniti, ovvero capo del Dipartimento di Giustizia americano. Il predecessore era Eric Holder, primo afroamericano a ricoprire il ruolo.

Holder ha dato le dimissioni lo scorso Settembre sottolineando che sarebbero divenute effettive nel momento in cui si sarebbe nominato il suo successore. Ed è curioso che nei pronostici non vi fosse nessuno che menzionasse la Lynch. Si parlava dell'ex consigliere della Casa Bianca Kathryn Ruemmler e del consigliere di Obama per la sicurezza interna Lisa Monaco o ancora, del Procuratore Generale della California Kamala Harris e dell'ex direttore dell'FBI Robert Mueller. Ma nessuno aveva in mente Loretta.

Eric Holder, che sembra uscito fresco fresco da una puntata di Law&Order, parlando delle sue dimissioni ha detto che ha preso coscienza d'aver superato i sessant'anni e che ormai vede più giorni passati che giorni futuri. Sarà come dice lui certo, ma gli introiti da due milioni di dollari che ha fatto nel 2008 presso lo studio della Covington & Burling prima di essere nominato, parlano forse più del semplice pezzo di carta per rassegnare le dimissioni.

Attualmente lo stipendio che andrà a prendere la Lynch è pari a circa duecentomila dollari, praticamente dieci volte meno di quanto prenderebbe Holder da avvocato. E molti sono stati gli oppositori in Senato di queste dimissioni, vuoi perché faceva parte della prima squadra di governo del Presidente Obama e vuoi perché non era il momento opportuno, viste le imminenti elezioni di midterm. E infatti le critiche continuano ancora oggi alla luce dei pessimi risultati del Partito Democratico.


Loretta si è presentata comunque con un ottimo curriculum.
Ha lavorato sei anni per lo studio della Cahill Gordon & Reindel, undici anni come Procuratore di New York (Eastern District), otto anni come socio della Hogan & Hartson e altri quattro come Procuratore Generale dell'Eastern District di New York arrivando a coprire tutte le questioni giudiziarie di Brooklyn, del Queens e di Staten Island . Dice di amare il servizio pubblico e che rimarrà sempre vicino a questo. Ha insegnato legge alla St. John’s University School e nel 1999 è stata nominata procuratore dallo stesso Clinton. La Lynch ha dovuto lottare contro i pregiudizi, perché donna e perché donna di colore. Pare che all'inizio della sua carriera venisse scambiata in tribunale per il reporter ufficiale del processo. Ma non si è fatta condizionare e ha continuato per la sua strada, combattendo criminalità organizzata, traffico di droga, di armi, cyber crime e corruzione.

Laureata cum laude ad Harvard nell'81 e preso il dottorato nell'84, dice di aver capito il potere della legge quando da giovane ha aiutato gli afroamericani a fuggire al nord durante il periodo della segregazione razziale.

Nel suo discorso d'insediamento di ieri ha sfoderato il più classico dei patriottici discorsi alla nazione, con tanto di "adesso sarò al servizio di tutti gli americani, per proteggervi, e sarà un onore farlo" ha ricordato che il Ministero di Giustizia è forse l'unico Ministero che è nato da un'ideale e che rappresenta un nobile, quanto stimolante mestiere. Ha ringraziato tutti coloro che ci lavorano e che rendono possibile ogni giorno e ogni notte quell'ideale.  Ha poi ringraziato il Presidente degli Stati Uniti, l'ex Procuratore Generale Eric Holder e i suoi genitori "che pur non più vivi, mi stanno sicuramente guardando". Ha poi concluso dicendo che il suo primo pensiero al mattino sarà la sicurezza di tutti gli americani.

Non ci resta che augurarle buon lavoro.



sabato 8 novembre 2014

House of Cards, il limite è politica

Matteo Renzi non ha mai nascosto il suo interesse per la serie televisiva House of Cards, consigliando anzi il suo staff di prenderlo come un modello, un manuale d'istruzioni. Al che gli ha risposto direttamente Michael Dobbs, l'autore del romanzo, o almeno così dice d'aver fatto. Ha detto d'aver mandato una nota al nostro Presidente del Consiglio, qualcosa del tipo "Pierino, torna a letto, questa è roba per grandi"  "ma io sono grande!!" "non abbastanza da capire cosa sia finzione e cosa no"

Insomma, la voglia di dire al mondo quanto ci capisca di politica Matteo è stata beffata due volte. Una volta quando quel mondo non aveva voglia di sentire un ragazzino che voleva giocare a fare lo statista e un'altra volta quando un politico di professione come lo stesso Dobbs non sembrava capace di stare al gioco del ragazzino rispondendogli in maniera decisamente troppo adulta. Proprio lui che di giochi e finzione dovrebbe intendersene.  

"Ma il protagonista Frank Underwood è molto cinico, io non sono così" ha detto Renzi. "Credo piuttosto che il potere sia la capacità di caricarsi delle responsabilità degli altri.

Ed è qui che ho capito quanto Renzi avesse compreso poco o niente del telefilm, più o meno come Obama quando ha affermato di volere un Frank Underwood nella sua squadra di governo, perché "...sarebbe bello vedere approvate le cose così in fretta!"

Insomma, dire di prendere a modello House of Cards ci può stare, è politica e Renzi è un politico, o almeno vorrebbe esserlo. Ma far intendere poi che non si è capito nulla del romanzo, è come affermare che non si è capito nulla di politica.

Eppure Kevin Spacey nelle sue fluide interruzioni alla scena, rivolgendosi direttamente allo spettatore, deve averlo fatto capire più di una volta cosa sia il potere. Nella penultima puntata della seconda stagione dice anche chiaramente cosa sia questa politica, per chi magari come il nostro Presidente del Consiglio fosse rimasto indietro.

"E' il limite." Fa Spacey. Il limite oltre il quale ci si ritrova nel tradimento e prima del quale non succede niente di niente. Una sottile quanto invisibile linea che solo pochi conoscono e osano avvicinare per ottenere il loro scopo. E lo scopo, Frank Underwood è abituato a ottenerlo, con pazienza ed esperienza, proprio come ricorda metaforicamente quando  il deputato della California Jackie Sharp si appoggia involontariamente al suo modello della guerra di secessione. 

"Oh fa attenzione!" Dice Frank accanto alla sua onnipresente moglie. "E' molto delicato."
"Che cos'è?" Chiede il deputato Sharp.
"Una cosa su cui sto lavorando da molto tempo."

E sappiamo tutti su cosa stia lavorando Frank con la complicità del suo assistente Stamper e della moglie Claire.

"Ed è quasi finito...." In un dialogo che raggiunge il massimo apice della metafora.



House of Cards ha dei colpi di scena plateali, non molti per la verità, ed altri invece più frequenti, ma su argomenti prettamente politici. A Dobbs gli si deve dar atto di aver creato dialoghi per nulla scontati e una serie infinita di piccoli e grandi ricatti, contropiedi e doppi giochi che hanno avuto il merito di tenere in piedi la serie rendendola verosimile. C'è da dire però che in alcune puntate si va troppo per le lunghe con tecnicismi che nello spettatore non avvezzo possono risultare inutili e ridondanti per la storia. Ecco infatti che la seconda stagione comincia col massimo colpo di scena per poi sonnecchiare almeno cinque o sei puntate. Giusto in tempo per mettere in campo un'altra giornalista e far svegliare lo spettatore con un bel punto della situazione. 

E c'è del buon giornalismo nella serie, soprattutto nella prima stagione e nel finale della seconda. Forse frettoloso e poco probabile quando Zoe Barnes scrive i suoi pezzi in due minuti scarsi dal cellulare e camminando. Ma concediamo agli autori il messaggio; l'editoria è cambiata e sta cambiando. L'informazione è altro e le redazioni come quelle dello Slugline somigliano sempre più agli uffici di Google. Non per nulla Zoe Barnes è stata licenziata dal vecchio e classico giornale americano trovando posto nella nuova redazione dello Slugline.



House of Cards è la tela che tesse giorno dopo giorno uno Spacey sempre più simile a Gene Hackman, col solo fine di raggiungere il massimo del potere. Frank Underwood ha infatti subito il torto di non essere stato nominato Segretario di Stato come avevano pianificato con lo staff del Presidente Walker e lo stesso Walker glielo manda a dire tramite il suo capo di gabinetto. 

Errore imperdonabile.

E dopo una notte intera passata alla finestra del suo lussuoso appartamento fumando sigarette, Frank torna a lavoro col "sorriso" tra i denti e con un piano ambizioso da portare a termine. E' lui il capo e se la carta non lo dice ancora, lo sarà presto.

Apprezzabili infine anche i tanti piccoli dettagli, come quello della finestra di casa Underwood che da sul muro della casa di fronte, giusto a dire quanto Frank e sua moglie avessero poco interesse per le cose materiali quanto piuttosto per il potere. 

"Ci sono quelli che accumulano soldi e quelli che accumulano potere"

E per avere potere bisogna camminare sul limite, il limite di cosa poi, è soltanto un dettaglio.


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venerdì 7 novembre 2014

L'errore di Obama dietro le midterm 2014

Queste midterm elections hanno mandato certamente un bel messaggio al Presidente Obama che dal canto suo invece non sembra dar cenno d'averlo ricevuto. L'unica cosa che ha potuto dire in risposta a questa debacle del Partito Democratico è stata "adesso mi piacerebbe sentire cos'hanno da dire i Repubblicani in Campidoglio", nel senso che "non vede l'ora" di lavorare con chi ha ottenuto il consenso dei cittadini. E avranno un bel pò da dire questi Repubblicani, visto che lui e il suo partito gli hanno preparato da tempo la strada. Obama infatti non convince più, sembra essere il presidente delle frasi ad effetto e nella sostanza è apparso meglio come candidato alle presidenziali che come presidente in grado di portare cambiamenti.

map by Politico.com


Gli americani, e non sono pochi, vedono in lui un leader che non fa la guerra anzi, che la perde. Perché se non basta ritirarsi per vincere, parlare senza agire può significar perdere un conflitto che va ben i oltre i campi di battaglia dell'Afghanistan. Ha fatto forse di più Putin con la conquista della piccola penisola di Crimea che il nobel per la pace americano con il ritiro delle truppe dall'Iraq.

Passa per un presidente che non aiuta l'economia, ma che addirittura si mette contro i poteri forti per agevolare un elettorato che in fin dei conti non gli ha restituito il favore. E l'Obama Care ci ha messo del suo, con le sue complicanze burocratiche e i suoi tecnicismi, tanto che il presidente dovette indire una conferenza stampa per scusarsi sulle eccessive complicazioni riscontrate dagli americani.

Sembra più un politico che pone domande che un presidente che da risposte, "How can we do what we need to do better?" e se le sue frasi ad effetto miravano a conquistare consensi, proprio come nella campagna presidenziale, adesso sembrano risuonare in un elettorato meno disincantato e più esigente di fatti.

Ma ha detto che è ancora presto per pensare di rivedere ruoli e posizioni del suo staff. Staff che è stato cambiato ben due volte persino nell'U.S. Secret Service, agenzia che si occupa della sicurezza del Presidente e non solo. Soltanto alla Casa Bianca quest'anno ci sono stati sette intrusi, di cui uno armato di coltello e uno armato di pistola. Quest'ultimo è entrato nella stessa ascensore con Obama ed è stato poi fermato perché insisteva nel volersi fare una foto col presidente, piuttosto del perché portasse una pistola.



Staff che andrebbe cambiato a cominciare da Steve Israel, capo del comitato che si occupa della raccolta fondi e ricerca dei candidati per il partito Democratico, il DCCC. Ma lo stesso Israel ha dichiarato solo oggi che lascerà il comitato soltanto per diventare capogruppo alla Camera, riferendo quanto detto al Presidente di questa: "I’ve been really clear with Leader Pelosi that I would like to continue to have a seat at the leadership table, because it makes me more effective"

Insomma, se il congressman Israel, peraltro eletto per l'ottava volta nello stato di New York, trova il tempo di fare il romanziere col suo “The Global War on Morris” a scapito di una pessima campagna elettorale per il partito democratico, la giovane repubblicana Saira Blair riassume invece a pieno il voto degli americani.

"Sono pro-life, contro i sindacati e contro il salario minimo"

"La strada per il successo e la prosperità è fatta di valori e principi conservatori"

Il presidente Obama non ci avrebbe capito più nulla se gli avessero detto che i suoi slogan, certamente di livello superiore, sarebbero stati battuti da un blasonato "E' tempo che smettiamo di trattare i nostri cittadini come terroristi e i terroristi come cittadini", ma del resto la Blair è figlia di un senatore e di uno stato sofferente come il West Virginia, la vittoria perciò è stata soltanto una formalità.

by Fox News 

Ma l'errore di Obama allora qual'è stato? E' stato quello di non aver mai cambiato strategia in sei anni. Ha teso la mano ai più bisognosi e ha continuato a farlo anche quando il ceto sociale medio cominciava a stare meglio. La differenza tra un politico e uno statista in fondo, è che entrambi fanno politica, ma soltanto il primo ha bisogno di una poltrona.

martedì 4 novembre 2014

Un pieno di computer, grazie

Frecce Tricolore su Roma - 4 nov 2014, ore 9.00
Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate

Almeno cinque giri su Roma Sud di nove velivoli in formazione per una durata di circa venti minuti. Costo del carburante al barile, 102 dollari, consumo dell'Aermacchi MB 339 ad un regime dell'80% circa 25 litri al minuto. Il che ci dice che la durata di un barile è di circa sei minuti di volo. Sono necessari dunque almeno quattro barili per una sessione di volo come quella di stamattina, ovvero 408 dollari a velivolo che per nove velivoli fanno 4590 €, l'equivalente di nove ottimi computer per la scuola.

Senza contare le sessioni di allenamento.



domenica 2 novembre 2014

Il Bulldog Inn cambia pelle

Una volta era un pub dove la birra scorreva a fiumi. Lo stile era irlandese e forse leggermente riadattato alle esigenze di casa nostra. Allora per pranzo si poteva ordinare un hot dog con senape o una pizza margherita, un cheeseburger oppure una gricia e un supplì. E c'era anche la St.Benoit per i più sofisticati. Col tempo però la clientela è andata scemando e nonostante fosse posizionato, e lo è tuttora, su corso Vittorio Emanuele, proprio nella Piazza di S.Andrea della Valle, non era difficile vederlo vuoto quando altri pub irlandesi nelle vicinanze andavano a pieno regime già dalle diciotto, basti pensare all'Abbey Theatre

Il Bull Dog Inn sembrava voler essere tutto e niente, un discopub dove a inizio millennio il sabato sera si faticava a stare in piedi, o un lounge bar dove l'aperitivo stentava a decollare. C'era, ma non si sapeva, anche se faceva un Bloody Mary leggendario. Da fuori non sembrava nemmeno si trattasse di un pub, o di un cocktail bar, per non parlare delle luci decisamente troppo natalizie e dozzinali per un locale situato su corso Vittorio.


Bulldog Inn, 2013

Bulldog Inn, 2013


C'è da dire che era tutto buono, dalla gricia alla pizza, dalla focaccia all'hot dog, fino all'incredibile supplì. Insomma un pub di qualità, ma sornione, almeno di giorno.

Tuttavia i tempi cambiano e non invecchiare significa non stare al passo coi tempi, rimanere immobili. 
Con piacere dunque, abbiamo notato che il vento del cambiamento è arrivato anche qui. Certo, un cambiamento quasi radicale, ma la vecchia anima del Bulldog è ancora nell'aria e se si guarda agli alti soffitti i ricordi sono dietro l'angolo.



Abbiamo provato il buffet del pranzo, per dodici euro. Certamente concorrenziale nella zona, ma senza piatti caldi. Tuttavia, compreso nel prezzo, si ha diritto a un primo a scelta (caldo) tra cacio e pepe o puttanesca.

Abbiamo optato per il cacio e pepe. Ottima la pasta e piatto servito al dente.



Nel frattempo ci siamo serviti al buffet, abbondantemente vegetariano.





E da bere un'ottima spremuta d'arancia e dell'acqua leggermente frizzante, non comprese nel prezzo.




L'arredamento è curato. Il colore è virato dal marrone scuro del Bulldog al bianco del nuovo locale. Sedie in legno, ma comode. Servizio cortese e immediato. Nonostante il bianco, la luce è rimasta quella di un tempo. Vi consigliamo i posti più luminosi nell'angolo tra Piazza Sant'Andrea e corso Vittorio, specialmente i due che affacciano sulla strada.

Con nostro gradimento siamo passati al dolce. Due tipi di torte, una crostata, biscotti e macedonia.
Tutto ottimo, ma la crostata di albicocche ha decisamente trionfato su tutto.




 Benvenuti al Buddy Restaurant Café

mercoledì 29 ottobre 2014

Walking Dead - anche la serie resuscita (spoiler, ma non troppo)

Con la storia del Governatore ci stavamo addormentando un pò tutti. La cittadina di Woodbury era noiosa già dalla prima e non è stato certo facile sorbircela per una decina di puntate. La sola puntata numero sei della prima stagione (TS-19) valeva molto più di tutto il brodo che abbiamo dovuto superare con la storia del Governatore. In quella puntata un medico rinchiusosi dentro a un laboratorio ermeticamente protetto, aveva creato il suo mondo personale che poco aveva da invidiare agli abitanti di Woodbury.

Il Governatore non ha mai avuto l'aspetto del cattivo, ce lo siamo dovuti figurare tale anche come pirata. Ad eccezione forse della seconda parte nella quale cerca vendetta su Michonne e Rick dopo che gli hanno distrutto la sua amata Woodbury. Ha perso una figlia, ha perso un occhio e nonostante tutto, sembra aver perso un cubo di Rubick e la lista della spesa. I momenti degni di nota sono pochi, forse quando Glenn rimane legato a una sedia con uno zombie nella stanza o forse quando Andrea scopre la figlia del Governatore in catene. Viviamo un'epidemia di polmonite alla prigione e l'agognato ritrovamento da parte di Daryl del fratello Merle, praticamente perso dalla prima stagione. Non è il migliore dei momenti certo, ma anche qui, il Governatore è poco credibile quando mette i due uno contro l'altro, in un'arena inverosimile, dove i mansueti abitanti di Woodbury si trasformano in improbabili arpie da cinema di serie B.

Viviamo poi un lungo momento introspettivo del Governatore, quando distrutta la città, cammina come un clochard lungo i paesi abbandonati del circondario. Per trovare cosa? Una nuova moglie e una nuova figlia nel giro di due puntate. Come se non bastasse riuscirà a convincere lei, la sorella e gli amici a mettersi contro 'quelli' della prigione. "E' gente pericolosa" dice, e ovviamente la donna acconsente, anche perché nessuno li ha mai difesi come ha fatto lui in questo stretto giro di episodi.

Inverosimile.

Volevamo uscire tutti da questo letargo sceso da quando si era arrivati alla prigione, ma gli sceneggiatori non sembravano dello stesso parere. Fino a quando non c'ha pensato il Governatore.

"Basta con questa prigione santo cielo! Cambiamo ambientazione..."

E forse l'unico a non  pensarla così era il povero Hershel

Il gruppo di Rick si sfalda. Le cose si fanno appena più interessanti ad eccezione forse di una puntata su Daryl e Beth. In fondo la ragazza doveva essere rapita e dunque bisognava far conoscere un poco di più del personaggio. Poi un gruppo di cacciatori entra nella casa in cui Rick, Carl e Michonne si erano rifugiati. Rick ancora ferito da quando ha lasciato la prigione, riesce ad uscire dalla casa in pieno stile navy seal e a raggiungere il figlio e l'amica che nel frattempo stavano approfondendo il passato di Michonne in giro per il paese. Ma la vendetta è nell'aria. 

La caccia è nell'aria.

Così, nel giro di  qualche puntata passata nei boschi, assistiamo all'amicizia forzata di Daryl con un fantomatico Joe e il suo gruppo di cacciatori (guardacaso). Cacciatori che sono gli stessi che si erano infilati nella casa dove alloggiavano Rick e suo figlio insieme a Michonne.

E qui ci ritroviamo finalmente faccia a faccia col problema.

La vera epidemia è soltanto l'infezione o interessa anche il comportamento? Lo scenario apocalittico forse è il vero virus dal quale bisogna guardarsi, perché resistere come esseri umani può significare morire come dei poveri zombie. Parliamo di un'infezione molto più invisibile, quella delle circostanze. Rick lo sa bene. Ha cominciato a saperlo dopo la morte di Shane e di sua moglie Lori. Se vuoi sopravvivere tra zombie che sbranano esseri umani, devi sbranare come loro. E non metaforicamente, visto che non sono certo i camminanti, quanto piuttosto gente come gli amici di Joe a nutrirsi come un'infezione sulle spalle delle 'brave' persone.

Il vero punto di svolta raggiunge l'apice nell'ultima puntata della quarta stagione. Non appena gli uomini di Joe minacciano ciò che resta della famiglia di Rick, firmano la loro condanna a morte. Rick è una brava persona, una brava persona trasformata dall'apocalisse in una macchina da guerra, un cacciatore di esseri umani. Non dimentichiamoci della velocità con la quale ha sparato in 'Grilletto facile' durante la seconda stagione. Clint Eastwood avrebbe certamente preso appunti. Questa significa che Rick sa trasformarsi, vuoi in Sundance Kid , vuoi in uno zombie. 

A fare le spese di questo nuovo Rick, cambiato nel volto e nell'animo, è chi si mette tra lui e la sopravvivenza sua e della famiglia. Non serve dunque essere uno zombie per azzannare il collo di Joe. 

E da questo momento in poi i soggetti e gli scenari interessanti aumentano. Abbiamo Carol alla prese con una bambina psicolabile e Tyreese che ascolta le confessioni sulla morte di Karen direttamente da Carol. Sono puntate importanti dove si saldano certi legami e se ne costruiscono di nuovi. Sono puntate che ci fanno respirare aria nuova dopo mesi di sedativi, quasi che ci stavamo trasformando noi stessi in "spettatori" viventi.

Poi, inserita alla perfezione e con un tempismo perfetto, arriva Terminus, luogo sinistro che suggella quanto detto prima. Gli uomini sono diventati qualcosa di più pericoloso degli zombie, tanto che i morti viventi sembrano ormai un routinario formalismo a fatti ben più inquietanti.



domenica 19 ottobre 2014

I bassifondi del Barocco a Villa Medici (consigliata)

Come già per altre mostre a Roma, si ripete l'annosa questione del biglietto. E' certamente concepibile che si faccia la fila, non è concepibile però che non si faccia nulla per smaltirla quando questo è possibile.

Anche qui, come per l'Ara Pacis, siamo sui due minuti a coppia per un totale di trenta visitatori avanti a noi. Notiamo un solo addetto alla cassa per le operazioni 'spicciole' e uno accanto che ha il solo compito di dare la stessa identica informazione a ogni visitatore che si affaccia al banco. Non si capisce veramente perché certe informazioni non possano esser scritte lungo il percorso della fila.

POS mancante. Ergo, se non avete contanti non visiterete la mostra.


Nessuna indicazione in merito ovviamente. Il rischio sarà dunque quello di farvi mezz'ora di fila per sentirvi dire che l'avete fatta inutilmente. Disorganizzazione allo stato puro.

Al costo del biglietto potrete visitare anche i giardini di Villa Medici, un'ora e mezza di percorso con la guida, per un massimo di 25 persone a gruppo. Le guide sono più d'una. I giardini meritano, anche per l'ampia vista che si ha sulla città.


L'ingresso della mostra del Barocco non è dei più belli. A introdurci nella prima sala saranno delle fettucce da macelleria in pieno contrasto con le tende in velluto antistanti. Vogliamo pensare che fosse una sottile metafora per sottolineare il passaggio dai piani alti ai bassifondi della mostra.



La luce delle sale è davvero buona, quasi perfetta, ad eccezione di quella per i quadri più grandi. I pannelli bianchissimi messi ad hoc per i dipinti sono molto eleganti e in linea con l'illuminazione. Peccato che non sia stata fatta una didascalia di massima per ciascun quadro, in fondo non sono molti. Ci si deve accontentare di fare avanti e indietro con un unico pannello per sala. Ma se avete una buona memoria vi ricorderete tutto, piantina delle sale compresa.

Gli allarmi di movimento sono tarati male, ogni quindici secondi ce n'è uno che suona. Anche la guida sembra non accorgersene mentre parla, facendolo suonare in continuazione. Va bene proteggere i quadri, ma non va bene farlo a scapito di un mal di testa.

I primi quadri sono davvero belli, la mostra promette bene ed è subito forte l'ingresso nel '600.  

Si parte con Pierre Prebiette e Bartolomeo Manfredi passando per alcuni allievi della sua scuola. Il maestro Manfredi non ha mai firmato i suoi quadri e tanta era la sua bravura che ha portato a confonderli persino con degli originali di Caravaggio. L'elemento dominante è Bacco il cui quadro oggettivamente più bello è 'Bacco e un bevitore', proveniente da Palazzo Barberini.

Nella stessa sala il nudo di Giovanni Lanfranco.


Godibili sono i 'Giocatori' di Leonaert Bramer e il 'Banchetto di Baldassarre', così come 'i bari' del Paolino. Pietro Paolini, pittore toscano, fondò nella sua Lucca la propria scuola dopo aver studiato sia a Venezia che a Roma. Altri suoi quadri sono custoditi a Palazzo Orsetti e Villa Guinigi.



Degni di nota sono 'Il mendicante' dello spagnolo Jusepe de Ribera, quadro proveniente dalla Galleria Borghese e 'La suonatrice di chitarra', del francese Simon Vouet.

           
                             
Se il Barocco incontra la pittura fiamminga, non può che nascere il bravissimo Michael Sweerts. Tra i suoi quadri scelti per l'esposizione, 'Il pellegrino in sosta' e 'L'anziana che fila', direttamente dalla Pinacoteca Capitolina.

Un paio di quadri che ci riportano poi nella Roma del '600 sono 'Il Carnevale' di Jan Miel (Palazzo Barberini), sullo sfondo di Piazza Colonna e la scena di prostituzione sotto al Pincio di Claude Gellée (National Gallery). In questo dipinto la luminosa chiesa della Trinità dei Monti fa da contrasto alla parte bassa del quadro, dove la selva di quella che adesso è Piazza del Popolo, sembra far calare il buio sulla ragione dell'uomo gettandolo nella perdizione.



In fondo la Roma del tempo, non era poi così lontana dalla Roma di oggi, quando orinare sulle rovine della città era normale tanto quanto adesso; si veda il quadro di Cornelis van Poelenburgh, 'Giovane che orina' (Palazzo Chigi).

La volgarità di allora sarebbe stata attuale anche con il 'gesto della fica', gesto che era usato all'epoca come insulto.

Altri due quadri che ci lasciano entrare nell'atmosfera dell'epoca sono 'Festa e rissa nei pressi dell’Ambasciata di Spagna a Roma' di Jean Both e 'Bentvueghels in un'osteria romana' di Roeland van Laer, quadro proveniente da Palazzo Braschi (Museo di Roma).

Di Bartolomeo Cavarozzi, altro bravissimo caravaggista, è esposto il famoso 'lamento di Aminta' (Dolor, che sì mi crucii, ché non m'uccidi omai? tu sei pur lento!)



Infine ricordiamo Nicolas Régnier con i suoi 'Giocatori di dadi e un'indovina', e soprattuto 'Lo Scherzo', dal Museo Nazionale di Stoccolma.

Qui lo spettatore sembra diventare finalmente parte della scena.