Non ho mai creduto in un mondo migliore, non davvero. Non ho mai creduto in quel sogno luccicante di un’umanità che, all’improvviso, si ravvede, lasciando indietro tutte le sue ombre. Il mondo, lo sappiamo, è un mosaico impazzito: pezzi di bellezza incastrati tra crepe di violenza, di egoismo e distrazione. Eppure, nelle persone buone sì, in quelle ci credo. Non nei santi, non negli eroi da copertina, ma in chi, ogni mattina si sveglia e decide di non cedere alla corrente dell’indifferenza e dell’odio. In chi, pur sapendo che il lieto fine è solo un’illusione, sceglie comunque di fare un passo verso la luce.
Non si tratta di grandi gesti. Non serve cambiare il corso della storia o riscrivere le leggi del cosmo. È un’ostinazione quotidiana, quasi banale. E’ un sorriso offerto a chi non se lo aspetta, una parola tenuta a freno quando dentro brucia la rabbia. È la mano tesa verso chi inciampa, anche quando le nostre stesse gambe tremano. E’ l’essere gentili anche fossimo gli ultimi uomini sulla terra, perché essere migliori non significa vincere contro il male del mondo - quello, forse, ci sarà sempre. Significa non lasciarsi inghiottire e non diventare parte del suo ingranaggio. Ogni giorno ci mette alla prova e ci chiede chi vogliamo essere: se quelli che scrollano le spalle, che dicono “è così che va” e si voltano dall’altra parte, oppure quelli che trovano il coraggio di un gesto gentile o di una parola vera?
La civiltà può crollare sotto il peso delle sue contraddizioni. Ma noi siamo altro. Dobbiamo essere altro. Siamo la possibilità di scegliere la bontà e la bellezza, anche quando nessuno guarda. E in quella scelta, in quella minuscola ostinata scelta, c’è tutta la grandezza di cui siamo capaci. Non per salvare il mondo, ma per salvare noi stessi.